Il culo nella pittura dell’Ottocento

Il culo della donna è una visione ricorrente nella pittura dell’Ottocento in Europa. Il nudo femminile incontra reazioni contrastanti nei committenti, nella critica e nel pubblico a seconda del contesto e della finalità dell’opera.

In Francia, un nudo accademico

Nel 1863, al Salon di Parigi, la più importante esposizione artistica francese, trionfa la Nascita di Venere di Alexandre Cabanel. Si tratta di un dipinto mitologico di grande formato acquistato da Napoleone III. La protagonista si adagia composta sulla superficie del mare tra puttini festanti.

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Cabanel, Nascita di Venere, 1863

L’opera è considerata una “Venere in pasta di mandorle bianca e rosa” perfettamente conforme ai gusti del momento perché l’astrazione della languida bellezza della giovane è al riparo da ogni accusa.

D’altronde, Cabanel ha una formazione accademica. Sa che l’esercizio di copia sul modello vivente non è mai finalizzato a una riproduzione naturalistica del vero ma a una sua idealizzazione, sulla scorta di un canone di perfezione basato sugli esempi classici e sulla pittura di Raffaello.

Insomma, una nutrita schiera di pittori formati all’Ecole des Beaux-Arts, abituati a concentrarsi sulla linea e a proporre il bello ideale, sono accolti con grande favore dal pubblico.

Il nudo è accettato perché filtrato da riferimenti letterari, storici e mitologici e da una leggibilità basata su uno schema compositivo e una scelta cromatica raffinati e composti.

Pur essendo audace e ben visibile, questo culo non scandalizza. Esso è lontano nel tempo e nello spazio rispetto al momento in cui è stato impresso sulla tela.

Il culo esotico: nudi orientali

A ribadire questa distanza spazio-temporale che sottrae l’osservatore da ogni senso di colpa, ci pensa anche Jean-Auguste-Dominique Ingres. E’ il nudo nell’harem con opere come La grande Odalisca (1814) e il Bagno turco (1863).

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Quadri efficaci, al limite del porno-soft da cui trapela un evidente desiderio sessuale animato da insistenti fantasie di dominio maschile.

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Nella società ottocentesca, lo svelamento del corpo e la direzione degli sguardi sono fortemente caratterizzate in senso maschile/maschilista. Infatti, nelle occasioni pubbliche delle classi medio-alte (balli, ricevimenti, feste), gli uomini sono vestiti dalla testa ai piedi mentre le donne osano scollature (vedi qui) e scoprono braccia e spalle (vedi qui). E’ un mondo gerarchizzato in maniera unidirezionale uomo-donna, coperto-scoperta, attivo-passiva, soggetto-oggetto.

La rivoluzione di Manet: il culo nel corpo reale

Negli anni sessanta, le nudità di Édouard Manet appaiono scabrosi e degradati seppur collegati in chiave contemporanea ad opere di Raffaello e Tiziano. Manet mostra con franchezza dei corpi (non dei nudi) con difetti anatomici ed espliciti contenuti sessuali.

La colazione sull’erba è visto come un incontro mercenario tra uomini e prostitute. Olympia è una provocazione sessuale con il suo fiocco in gola, il fiore tra i capelli, il letto sfatto e le scarpe con il tacco. Le opere sollecitano una corresponsabilità del pubblico:

  • lo sguardo della donna e dell’uomo rivolto verso l’esterno invita l’osservatore a far parte del pic-nic;
  • il gatto nero con la coda eretta (evidente simbolo fallico) dichiara con la sua irritazione la presenza implicita dell’osservatore: è come se, nella stanza della prostituta, entrasse un nuovo cliente!

I precetti accademici pittorici, inoltre, sono spazzati via dall’ambientazione contemporanea, dalla giustapposizione di toni chiari e scuri e dall’inizio di una stesura del colore con una tecnica abbreviata, a piccoli tocchi.

Manet rompe la rispettabilità pubblica imposta alla donna nell’Ottocento riguardante la propria dimensione sessuale e un insieme di valori quali l’onore, la castità, la virtù, la costruzione di un matrimonio equilibrato finalizzato alla procreazione e all’educazione dei figli.

Dunque, quale preciso messaggio vuole proporre Manet? Secondo Alberto Banti, Manet suggerisce l’abuso visivo del corpo femminile. Agli uomini che guardano il suo quadro, il pittore sembra dire: “beh, anche quando siete impegnati in una conversazione con una bella donna, voi la vedete così. E’ per questo che vi piacciono tanto le Veneri e le odalische perché è questo che ossessivamente abita i vostri pensieri“.

Scandaloso Hayez: oltre il culo

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Hayez, Venere che scherza con due colombe, 1830

In Italia, il veneziano Francesco Hayez (1791-1882) è tanto celebre per le sue esemplari opere storiche di impegno patriottico, quanto bravo nella resa di una trionfante carnalità.

Il nudo più sconvolgente rappresenta in dimensioni reali, di spalle, la procace ballerina Carlotta Chabert, amante del conte trentino Girolamo Malfatti, committente dell’opera.

Presentata all’esposizione milanese di Brera come una Venere che scherza con due colombe, è considerata dalla critica come “la più schifosa donna del volgo“.

Fuori da ogni canone perché ha l’aspetto “di due donne messe assieme con la metà sopra più scarna di quella di sotto”.

In realtà, l’elemento disturbante è proprio il trionfante culo, da moderna Venere Callipigia, che sembra uscire fuori dalla superficie del quadro, sfidando la terza dimensione.

D’altronde, Hayez è specializzato nella rappresentazione del nudo femminile, contrapposto al nudo eroico maschile di tanti colleghi neoclassici. Donne senza vesti in scene bibliche (Betsabea e Maddalena) o eroine letterarie come Armida e Giulietta che si abbandonano a sensualissimi baci.

Una modella milanese del pittore, Carolina Zucchi, diventa la sua amante per un decennio (1820-30). La loro intimità è confermata da 19 disegni: sono scene di sesso nell’atelier in cui la donna non risulta soltanto puro oggetto erotico passivo.

La proposta di Giacomo Grosso

Sul finire del secolo, il piemontese Giacomo Grosso (1860-1938) espone alla Triennale torinese del 1896 una procace e voluttuosa ragazza. Sdraiata su una morbida pelliccia, la donna ammicca allo spettatore, come una sorta di versione domestica della Venere di Cabanel.

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Grosso, La nuda, 1896

Al pari di Manet, Grosso si tira fuori dall’ambientazione mitologica o storica proponendo un gioco seduttivo contemporaneo (per gli altri nudi, clicca qui).

Per l’ambientazione e il significato dell’opera, Grosso guarda a Manet e Hayez mentre le pose sembrano riecheggiare la lezione degli accademici francesi.

L’artista ha già suscitato scandalo alla Biennale di Venezia (1895) con Supremo convegno, un feretro di un dongiovanni posto in una chiesa con 5 donne completamente nude e disperate, in una sorta di orgia macabra.

I nudi di Degas

Come tutti i giovani della sua generazione, Edgar Degas (1834-1917) riceve una formazione imperniata sulla rappresentazione di figure nude. Lo studio del corpo, considerato come l’esercizio più
difficile e al tempo stesso più istruttivo, viene impartito nella bottega di Barrias (1822-1907) e in quella di Lamothe (1822-1869), eredi di Ingres.

Nel corso degli anni settanta, Degas realizza una serie di scene ambientate nelle case chiuse. I corpi delle prostitute segnano una radicale rottura con le forme ideali delle accademie: tuttavia, non sono corpi reali e non c’è nulla di eccitante.

In linea con l’immaginario collettivo dell’epoca, la prostituta è vista come una creatura grassa, con un corpo difforme, reso tale dall’accidia. Lo sguardo dell’artista rivela una certa ironia nei confronti di queste donne e dei loro clienti, colti in situazioni grottesche di predominio .

Al contrario, il lato compassionevole di Degas emerge nella rappresentazione dei momenti di solitudine che la prostituta vive nella sua abitazione. Sono nudi intente a bagnarsi, lavarsi, asciugarsi, strofinarsi, pettinarsi.

I loro corpi sono esaltati da un’inquadratura fotografica e dall’uso di tecniche artistiche come il pastello e il monotipo. Tali soggetti ricorrono anche in Toulouse-Lautrec e in Renoir.

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Félix Vallotton, Study of Buttocks, 1884. In questo studio di un fondoschiena, l’artista tralascia l’ideale della bellezza classica e preferisce il naturalismo del corpo femminile, che rappresenta con un certo sguardo voyeuristico.
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