Per le Macchine inutili di Bruno Munari (1907-1998), valgono le parole del critico Guido Ballo:
nulla sta mai fermo, tutto si muove, allo scopo di creare immagini che si formano e si disfano, proprio come avviene, talvolta lentissimamente, in natura.
Bruno Munari, in effetti, è un creatore di forme in continua trasformazione. Nelle sue Macchine inutili, ideate a partire dal 1932, egli cerca costantemente uno squilibrio attraverso cui i vari elementi possono muoversi nello spazio.
L’aggettivo inutile sottolinea la pura e unica funzione estetica della scultura slegata da qualsiasi funzionalità ed efficienza.
Queste sculture sono composte da forme geometriche elementari costruite con materiali leggeri e poveri (cartoncino, legno, alluminio o plastica), dipinte su entrambe le facce con colori diversi e collegate tra di loro da un filo sottile, quasi invisibile.
La composizione, quindi, può essere interpretata come una pittura astratta, fluttuante nello spazio, che si modifica in funzione della dimensione temporale.
Le opere si agitano nello spazio con movimenti autonomi, sensibili al più piccolo cambiamento dell’ambiente dove sono ospitate.
Luce, ombre e caso nelle Macchine inutili di Munari
Nelle installazioni di questi lavori, Munari ritiene fondamentale introdurre una o più fonti luminose, direzionate verso la macchina, affinché l’ombra più evanescente prodotta dal movimento di ogni singolo elemento guidi lo spettatore verso un mondo poetico, di immagini astratte riverberate.
Siamo abituati dal cinema e dalla televisione a vedere immagini dinamiche, che cambiano e si trasformano continuamente. I miei oggetti possono essere appesi al soffitto di una stanza e, avendo un piccolo proiettore a luce puntiforme, proiettare un’ombra continuamente mutevole sul muro, sul soffitto, dove si vuole. Un gioco ottico continuo con combinazioni casuali legate all’aria in quel momento. (Bruno Munari)
Le sue Macchine, quindi, sono composizioni vive perché cambiano forma ad ogni minima sollecitazione aerea o termica e anche perché diventano apparati scenici di un ambiente che, attraverso la modulazione di luce ed ombra generano brevi film astratti senza pellicola.
Munari e il futurismo
Le Macchine inutili di Munari superano il tradizionale linguaggio artistico ancorato alla staticità, alla forma del quadro e alle tecniche consolidate nell’ambito scultoreo. Esse si aprono al movimento reale o percepito, alla casualità, allo stimolo della fantasia e della creatività.
Per tali caratteristiche, Munari si trova in sintonia con le intuizioni teoriche di Balla e Depero. Nel manifesto Ricostruzione futurista dell’universo (1915), i due esponenti dell’avanguardia futurista prospettano forme in rotazione grazie a scomposizioni di volumi che compaiono e scompaiono.
Personalmente pensavo che sarebbe stato interessante liberare le forme astratte dalla staticità del dipinto e sospenderle in aria, collegate tra loro in modo che vivessero con noi nel nostro ambiente, sensibili alla atmosfera vera della realtà. (Munari)