La conquista dell’Afghanistan da parte dei talebani ha riportato il paese indietro di 20 anni vanificando la missione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America. Come gli artisti arabi ci stanno parlando di questa vicenda?
Dopo l’inizio del ritiro degli Usa dal paese, in poco più di tre mesi, infatti, l’esercito regolare si è dissolto, Kabul è stata presa, il presidente Ashraf Ghani è fuggito.
I media stanno documentando il dramma della popolazione: l’aeroporto è stato preso d’assalto da una marea di civili pronti a salvarsi ad ogni costo. La comunità internazionale teme, infatti, la formazione di un regime autoritario e repressivo, con estese limitazioni alle libertà individuali, soprattutto quelle delle donne.
La fotografia: le immagini della disperazione
Tra l’enorme flusso di informazioni proveniente dalle agenzie di stampa e dagli utenti attraverso i social networks, alcune immagini sono già diventate il simbolo della disperazione degli afghani.
Il sito di news Defense One ha diffuso una foto di un aereo militare statunitense decollato il 15 agosto da Kabul con la stiva piena di persone in fuga.
L’inquadratura del soggetto, ripreso da una prospettiva alta, rende l’idea del soffocante affollamento all’interno di uno spazio non destinato ad accogliere uomini, donne e bambini.
Per ognuno di questi afghani, la stiva dell’aereo è stata la salvezza. Non hanno più nulla, ma sono in vita.
Sembra il ribaltamento del destino di tanti ebrei stipati nei treni merci tedeschi e destinati ai campi di concentramento nella seconda guerra mondiale. Diretti verso una sicura morte. Qui, invece, scampati da una sicura morte.
Sono morti, invece, almeno due uomini precipitati nel vuoto nel tentativo di restare aggrappati a un aereo militare cargo Usa Boeing C-17, decollato sempre dall’aeroporto di Kabul.
I video e le sequenze di fotografie di questi terribili momenti sembrano accomunare il destino di queste vittime afghane con quelle che hanno scelto di lanciarsi nel vuoto nelle ore successive all’attacco alle Twin Towers a New York, l’11 settembre del 2001.
Difatti, The falling men ripreso nello scatto del fotografo dell’Associated Press Richard Drew è il simbolo dell’America sotto attacco e nel panico.
Gli artisti raccontano l’Afghanistan
Ad affiancare i reportage giornalistici, ci sono gli artisti arabi che, con i loro consueti strumenti di lavoro, cercano di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Da più parti, infatti, emerge la necessità di aprire corridoi umanitari per salvare i profughi ed affrettare le evacuazioni.
Numerose vignette e disegni ripropongono i fatti accaduti nell’aeroporto di Kabul.
L’illustratrice iraniana Roshi Rouzbehani ha reinterpretato il famoso L’urlo di Munch trasformando il viso scheletrico del protagonista originale in una donna con il burqa. I lavori dell’artista, d’altronde, si caratterizzano per l’attenzione al tema dell’emancipazione femminile nel mondo arabo.
Le donne dell’Afghanistan
La massima preoccupazione è rivolta al destino delle donne afghane. I talebani, infatti, impongono l’uso del burqa e vietano l’istruzione e l’impresa femminile.
PER APPROFONDIRE. Come governano i talebani?
Si hanno già notizie, infatti, di punizioni corporali pubbliche contro le donne e si è iniziato ad ordinare la consegna di ragazze (anche minorenni) da dare in sposa ai combattenti, come trofeo di guerra.
I talebani, infatti, vietano l’ascolto e la pratica della musica ad esclusione di quella religiosa
L’illustratrice Hanna Barczyk, ispirandosi alle figure di Picasso del Guernica, ha creato il profilo rosso di una donna disperata, col pugno alzato verso il cielo. All’interno dello stesso profilo, altre tristi immagini femminili.
La fotografia di Boushra Almutawakel
La notizia del ritorno dell’obbligo di indossare il burqa (o hijab) in Afghanistan ha causato la circolazione sui social di una parte di un lavoro degli anni 2008-12 della fotografa yemenita Boushra Almutawakel intitolato, appunto, Hijab series.
Il progetto si basa, infatti, su una serie di osservazioni effettuate dall’artista sull’utilizzo del velo nel mondo arabo, sulle sue implicazioni socio-politiche e sulla messa in discussione di stereotipi culturali e relazionali tra uomini e donne, occidentali e orientali.
Una serie di 9 scatti in sequenza, dal titolo Mother, Daughter, Doll, documenta lentamente la scomparsa del corpo di tre donne (una madre, una figlia e una bambola) sotto un abito completamente nero.
Laddove l’esistenza della donna è negata, dominano incontrastate la dittatura e l’ignoranza. Almutawakel, inoltre, in un’altra sequenza di scatti (What If) , ha provato a invertire la realtà, svestendo una donna e coprendo con il velo un uomo.