Il toscano Michelangelo Buonarroti (1475-1564) ha ispirato generazioni di artisti. Ma anche di cantanti. Ecco cinque esempi, non certo esaustivi, degli anni Duemila.
Ariana Grande, God is a woman, 2018
Il celebre Dio Padre, circondato dagli angeli, in atto di creare Adamo nella volta della cappella Sistina, si trasforma in una donna nel video della cantante statunitense Ariana Grande. Dopotutto, la canzone è un inno alla sessualità femminile con immagini evocative e simbologie artistiche: il mare di vernici pastello a forma di vagina, la gravidanza che fiorisce letteralmente sul ventre di Ariana e la popstar in versione lupa (con tanto di mammelle) che allatta un gruppo di uomini.
Il nuovo femminismo è far dimenticare i vecchi stereotipi che vorrebbero le donne passive a letto, tra orgasmi finti (di lei) e rapporti che culminano con l’orgasmo vero (di lui).
Anastasio, La fine del mondo, 2018
Il brano di Anastasio è il racconto di uno stato di malessere, causato da una depressione:
Non mi alzerò mai / Da questo letto sfatto e zozzo / Che mi tira giù sul fondo del profondo come un pozzo / E mi ripeto “Alzati, almeno muoviti” / Ma ‘ste lenzuola sono come sabbie mobili / E non ho manco sonno / Ma se mi alzo torno ad affrontare il mondo / E sono tempi bui, il gioco lo conosco a fondo / E sono debole, lui cambia regole a suo piacimento / E vince sempre lui, e vince sempre lui
Alla fine, tuttavia, pare che il protagonista abbia voglia di reagire perché “Io sogno un mondo che finisca degnamente / Che esploda, non che si spenga lentamente“. Ed è a questo punto che avviene la citazione di uno dei più grandi capolavori dell’arte mondiale:
Io sogno i led e i riflettori alla Cappella Sistina / Sogno un impianto con bassi pazzeschi / Sogno una folla che salta all’unisono / Fino a spaccare i marmi, fino a crepare gli affreschi / Sogno il giudizio universale sgretolarsi e cadere in coriandoli / Sopra una folla danzante di vandali / Li vedo al rallenty, miliardi di vite / Mentre guido il meteorite e sto puntando lì
Insomma, il protagonista si augura uno stravolgimento totale dello stato attuale del mondo evocando la distruzione della cappella Sistina e del Giudizio universale ad opera di una musica assordante e di una folla danzante.
Ghemon, Rose viola, 2019
“Rose viola è una canzone d’amore spinosa” dichiara Ghemon. In effetti, si tratta di una serie di riflessioni di una donna che, ricorrendo a metafore ed espressioni poetiche, ammette di intrattenere una relazione nascosta con un uomo che, poi, scompare per tornare alla sua famiglia.
Per questo, nel video sono riproposti dallo stesso cantante e da un’attrice alcune opere d’arte che si rifanno alla tematica dell’amore, in tutte le sue varianti. E per cominciare, non può mancare La Pietà di Michelangelo, custodita nella basilica di San Pietro a Roma. L’amore tra una madre e un figlio.
Nell’originale, il corpo di Gesù, ormai senza vita, è adagiato sulle gambe della Madonna. Nel video, è Ghemon a tenere la donna, forse per consolarla dal suo amore tormentato:
Come tutte le notti in cui te ne stai da sola / nodi in gola e il trucco che cola / come tutte le notti in cui proprio lui ti trova.
Gli abiti rimandano al colore della famosa statua, il marmo bianco di Carrara.

Achille Lauro, Me Ne Frego, 2020
La Pietà vaticana è presente anche all’inizio del video di Achille Lauro. Questa volta, il Cristo è il cantante stesso: un Gesù tatuato, coperto dal solo perizoma, ai piedi del quale spunta un cane.
La canzone è un invito alla libertà di espressione e di accettazione di ogni sfaccettatura di sé e degli altri. Me Ne Frego significa vado avanti, vivo, faccio, sono ciò che mi sento di essere. Nel testo, inoltre, il cantante afferma di essere attratto da un uomo, bello come il David di Michelangelo:
Fai di me quel che vuoi, sono qui / Faccia d’angelo / David di Michelangelo / Occhi ghiacciolo / Dannate cose che mi piacciono
D’altronde, il nuovo progetto musicale di Achille Lauro ha continui riferimenti con l’arte. Al festival di Sanremo 2020, la prima esibizione ha destato scalpore perché si è presentato come un novello San Francesco di ispirazione giottesca. Lasciato cadere il mantello di velluto ricamato a mano con paillettes oro e argento, è apparso semi nudo, indossando solo una tutina in lamé scintillante.

Caparezza, Canzone a metà, 2014
Il sesto album del rapper Caparezza, intitolato Museica, contiene il brano Canzone a metà, una critica ironica a tutto ciò che è incompleto, lasciato a metà appunto, per la paura di un fallimento o per la mancanza di coraggio e volontà.
Ad un certo punto, si citano i Prigionieri (ovvero i Prigioni), un gruppo di sei statue di marmo che Michelangelo esegue in momenti diversi.
Gli schiavi per la tomba di papa Giulio II
Due di esse, risalenti al periodo 1513-16, sono pensati per ornare il basamento della tomba di Giulio II della Rovere (pontefice dal 1503 al 1513) nella basilica vaticana. Sono comunemente conosciuti come lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente, sono alti più di due metri e sono esposti al Louvre.
Michelangelo, Schiavo ribelle, 1513-16 Michelangelo, Schiavo morente, 1513-16
I due schiavi incatenati esprimono emozioni diverse. Il Morente è superbamente giovane e bello, e apparentemente in un sonno profondo (forse eterno). Il Ribelle è una figura più grossolana il cui intero corpo sembra impegnato in una violenta lotta. Il loro significato, tuttavia, è misterioso: simboleggiano le province soggiogate? O l’arte, ridotta in schiavitù dalla morte del pontefice? Hanno un ruolo da svolgere nel trionfo eterno papale? O sono anime gravate dal peso del corpo?
Di certo, le due statue non trovano più posto all’interno del complesso tombale che, oggi, appare ben diverso dalle prime progettazioni pensate da Michelangelo. Il monumento funebre papale, infatti, si trova nella chiesa di San Pietro in Vincoli, a Roma.
I prigioni fiorentini
Le altre quattro sculture sono esposte alla Galleria dell’Accademia di Firenze e sono databili attorno agli anni Trenta del Cinquecento. In effetti, sono opere incompiute, sculture a metà, citando Caparezza, e si rifanno a modelli della statuaria classica, come il Torso del Belevedere ritrovato a Roma.
Schiavo giovane Schiavo barbuto Atlante Schiavo che si ridesta
Tuttavia, la non finitezza dei prigioni trasmette la particolare concezione di Michelangelo della scultura per via di levare, come se la forma già contenuta nel marmo emergesse da esso grazie all’artista, che la libera togliendo l’eccesso di materia grezza. Insomma, ci sono parti levigate e finite accanto ad altre parti lasciate allo stato grezzo che testimoniano la ricerca costante dell’artista di fronte all’opera.
Canta Caparezza:
I prigionieri / Di Michelangelo / Sono prigionieri dei blocchi di marmo / Davvero prigionieri dei blocchi di marmo / Blocchi d’artista, blocchi di marmo / Mi danno come la sensazione / Come la sensazione di un disagio che mi riconcilia col mondo.
Nella sua ricerca della verità assoluta nell’arte, Michelangelo abbandona un’opera quando sente di non poter raggiungere il suo ideale. Nel marmo dei Prigioni, dunque, è possibile scorgere addirittura i segni dei suoi strumenti di lavoro: martelli, scalpelli, raspe, pendine e trapani. Tracce viventi della sua instancabile lotta con la materia prima.
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